PS: in allegato invio il logo del Convegno realizzato dall'artista Laura Kibel
COMUNICATO STAMPA
IV CONVEGNO INTERNAZIONALE
E' VIETATO UCCIDERE LA MENTE DEI BAMBINI:
CONDIZIONE E DISAGIO INFANTILI: LIBERARSI DELLA NECESSITA' DEI FARMACI
Venerdì, 5 Settembre 2008, a Montegrotto Terme nella Sala del Teatro del Palazzo del Turismo in via Scavi, 14, si terrà il
4° Convegno Internazionale“E’ vietato uccidere la mente dei bambini" che quest'anno ha come tema: Condizione e disagio infantili: liberarsi dalla necessità dei farmaci.
La partecipazione è gratuita e per qualunque richiesta ci si può rivolgere al Centro Studi Giovanni Calendoli tel: 0498808792 o inviando una e-mail a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. .
L’iniziativa è promossa dal Centro Studi Giovanni Calendoli - Istituto per la Sperimentazione e Diffusione del Teatro per i Ragazzi e Giovani di Padova, con la collaborazione del Comune di Montegrotto Terme e dell’Ufficio Scolastico Provinciale. Le esperienze, le competenze professionali e il valore di riferimento che l’Istituto ha consolidato nei suoi ventisette anni di attività hanno portato alla creazione di vari progetti di lavoro che mettono a frutto la sinergia tra teatro e scienza, ribadita dai convegni scientifici biennali. Il convegno di venerdì prossimo vedrà, come nelle precedenti edizioni, la presenza di importanti studiosi nel campo della sociologia, pedagogia, medicina e psichiatria, che interverranno sul tema, quali Alessandro Meluzzi, Ivano Spano, Ivan Cavicchi, Luca Poma, Giorgio Antonucci, Raffaella Semeraro, Daniele Saglietti, Pierangelo Pedani, Graziella Fava Viziello. Direttore del Centro Studi Giovanni Calendoli è la dott. Micaela Grasso, direttore scintifico del Convegno il prof. Ivano Spano, dell'Università di Padova. Il tema di quest'anno tratta la condizione e il disagno infantile, in particolare legato all'abuso di farmaci,un tema sempre più attuale e di cui si sente con forza l'esigenza di un confronto. Certamente sull’infanzia gravano problemi importanti come la crisi delle agenzie di socializzazione, la crisi della famiglia e, in particolare, della genitorialità, fenomeni di solitudine, difficoltà affettive e relazionali, precocizzazione di molti comportamenti e significative modificazione degli stessi processi cognitivi. Per tutto questo, istituzioni come la famiglia e la scuola misurano tendenziali difficoltà a relazionarsi con questa “nuova” realtà che caratterizza la condizione e l’esperienza infantile. Spesso, per l’incapacità a cogliere adeguatamente le dinamiche di questa realtà, si leggono alcuni comportamenti come espressione diretta di modalità devianti o patologiche. Queste semplificazioni annullano il peso del contesto sociale e delle problematiche connesse e riducono i problemi soggettivandoli, producendo, a volte, interventi drammatici e devastanti come la progressiva medicalizzazione dei problemi stessi. Un esempio basti: negli USA i bambini in terapia a base di psicofarmaci erano 150.000 nel 1970. Sono passati a 1 milione nel 1990, a 8 milioni del 2003 e a 11 milioni a fine del 2004, dando documentazione del fatto che una buona parte dell’intera popolazione infantile posa soffrire di disturbi patologici del comportamento. Si rende necessario, quindi, una adeguata riflessione sui processi e le dinamiche che rendono, oggi, possibili certi comportamenti, dolorosa la loro presenza nell’incapacità/possibilità delle istituzioni preposte ad attivare competenze esplicative, relazionali e di progetto senza dover delegare a nessun altro risposte e soluzioni non solo improprie ma inadeguate e tali da portare a una tendenziale cronicizzazione dei disagi, con una progressiva crisi e resa precaria dell’intero tessuto sociale.
Per maggiore approfondimento, inviamo qui di seguito l'articolo del prof. Ivano Spano - Università di Padova per l'inserto Salute del Sole 24 ore
E’ VIETATO UCCIDERE LA MENTE DEI BAMBINI: Condizione e disagio infantili: liberarsi dalla necessità dei farmaci
Certamente sull’infanzia gravano problemi importanti come la crisi delle agenzie di socializzazione, la crisi della famiglia e, in particolare, della genitorialità, fenomeni di solitudine, difficoltà affettive e relazionali, precocizzazione di molti comportamenti e significative modificazione degli stessi processi cognitivi. Per tutto questo, istituzioni come la famiglia e la scuola misurano tendenziali difficoltà a relazionarsi con questa “nuova” realtà che caratterizza la condizione e l’esperienza infantile. Spesso, per l’incapacità a cogliere adeguatamente le dinamiche di questa realtà, si leggono alcuni comportamenti come espressione diretta di modalità devianti o patologiche. Queste semplificazioni annullano il peso del contesto sociale e delle problematiche connesse e riducono i problemi soggettivandoli, producendo, a volte, interventi drammatici e devastanti come la progressiva medicalizzazione dei problemi stessi. La cura, anziché legarsi a esperienze capaci di andar oltre la pura eliminazione del sintomo (time is money) e ridare senso all’esperienza individuale, si limita a effettuare flebo al “corpo sociale” per rispondere allo stato di costante emergenza e tentare di mantenere almeno il ricordo della “società opulenta”. La conseguenza di questa politica dell’ “emergenza”, oramai divenuta di regime, è quella di omologare alcuni comportamenti direttamente a patologie grazie all’uso sconsiderato, pericoloso ma ben manovrato di categorie diagnostiche come quelle espresse nel DSM (Manuale Diagnostico Statistico) di derivazione nord americana. La tendenza è quella di generalizzare la diagnosi omologando comportamenti disincarnati dal loro contesto sociale, culturale e geografico e, soprattutto, di considerare ogni minima disfunzione ed espressione di disagio individuale e sociale come alterazione dei circuiti cerebrali: tutto trova un presunta sistematizzazione in un dis-funzionamento organico con conseguente, inevitabile ri-funzionamento farmacologico. La prossima revisione annunciata del Manuale Diagnostico potrebbe introdurre nell’elenco delle patologie comportamenti e stati d’animo come l’apatia, l’infelicità cronica indifferenziata, ogni qualsivoglia espressione ansiosa e, probabilmente, qualsiasi manifestazione emotiva acuta che può far intendere una difficoltà di controllo da parte del soggetto. A supportare, ma non certo scientificamente, questo progetto in atto sono, in prima fila i colossi farmaceutici che impegnano ingenti capitali nella diffusione dell’uso di psicofarmaci ad adulti e bambini, ottenendo incalcolabili profitti. Un esempio basti: negli USA i bambini in terapia a base di psicofarmaci erano 150.000 nel 1970. Sono passati a 1 milione nel 1990, a 8 milioni del 2003 e a 11 milioni a fine del 2004, dando documentazione del fatto che una buona parte dell’intera popolazione infantile posa soffrire di disturbi patologici del comportamento. L’introduzione, in Italia, di alcuni potenti psicofarmaci per minori (il Ritalin, lo Strattera ma anche il Prozac) è stata “santificata” dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Agenzia Italiana del Farmaco, redigendo i protocolli di prescrizione e somministrazione di molecole psicoattive a bambini cosiddetti iperattivi (Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione - ADHD). Ma, la medicalizzazione della realtà infantile e giovanile è già una preoccupante attualità. Le ricerche su adolescenti e giovani (Spano, 2005) documentano che il 36.0% di questi è sotto cura medica, che l’11.0% assume psicofarmaci, che il 22.0% ha subito almeno un ricovero ospedaliero nell’ultimo anno, che il 16.0% è in trattamento psicologico. I dati nazionali sull’uso di psicofarmaci nei bambini scolarizzati sono ancora un “numero oscuro”. Ci sono alcune rilevazioni regionali che indicano una percentuale di oltre il 4.0% fino a una più contenuta dell’1.1%. Dal Progetto di Screening PRISMA (fonte Ministero Sanità) si valutano in 737.000 i bambini con disagi e turbe mentali e in 162.000 quelli affetti da ADHD. Di fatto, molti sono i centri regionali preposti all’intervento sulla Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione: 20 Centri regionali per l’ADHD, 82 Centri regionali per la somministrazione di stimolanti (meta-anfetamine) ai bambini, con la costituzione del Registro Nazionale per la schedatura dei bambini in terapia psicofarmacologica (fonte Istituto Superiore di Sanità). In Italia moltissime è qualificate sono state le reazioni contrarie a questi provvedimenti. E’ stata avviata una Campagna Nazionale “Giù le mani dai bambini”, guidata dal giornalista scientifico Luca Poma, che promuove e coordina le iniziative contro l’uso e la diffusione degli psicofarmaci ai bambini (www.giulemanidaibambini.org). Significative sono, poi, le analisi in merito di alcuni studiosi. Il filosofo Umberto Galimberti, ad esempio, parla della disattenzione dei bambini a scuola come un sano “meccanismo di difesa” verso una scuola sempre più deprivata di significati capaci di motivare i bambini. Vale la pena di ricordare i risultati di molte ricerche (Spano e altri) sulla condizione infantile e adolescenziale che evidenziano come oramai ben il 35% dei bambini giochino da soli (nel chiuso di appartamenti), che una pari percentuale di bambini è incollata davanti alla televisione per 3.5 ore al giorno, che la dimensione relazionale tra adulto e bambino, sia nelle attività di gioco che familiari, si è sostanzialmente rarefatta e che le figure educatrici, insegnanti in testa, non sono più capaci di relazionarsi alla realtà sempre più complessa di cui i bambini sono portatori. Esistono, allora, ben pochi punti in comune tra chi ritiene che, poiché i comportamenti psicologici hanno sempre una base biologica, si debba mettere a punto una ‘terapia delle molecole’, e quelli che, all’opposto cercano di accompagnare il soggetto sofferente nella ricerca del senso che si nasconde nel cuore del sintomo. Tali approcci rinviano a concezioni filosofiche, a visioni dell’essere umano, della società e della cultura del tutto differenti, dando luogo di conseguenza a pratiche terapeutiche radicalmente diverse e talvolta opposte. Si rende necessario, quindi, una adeguata riflessione sui processi e le dinamiche che rendono, oggi, possibili certi comportamenti, dolorosa la loro presenza nell’incapacità/possibilità delle istituzioni preposte ad attivare competenze esplicative, relazionali e di progetto senza dover delegare a nessun altro risposte e soluzioni non solo improprie ma inadeguate e tali da portare a una tendenziale cronicizzazione dei disagi, con una progressiva crisi e resa precaria dell’intero tessuto sociale.